Una fionda molecolare per il rilascio mirato di farmaci

La fionda molecolare, 20.000 volte più piccola di un capello umano, può essere attivata da uno specifico marker patologico: «progettare la fionda molecolare non è stato facile. Sono stati necessari molti esperimenti per fare in modo che la fionda rilasciasse il farmaco soltanto nel momento in cui veniva innescata dall’anticorpo», racconta Simona Ranallo, ricercatrice post-dottorato presso il gruppo diretto da Francesco Ricci, professore associato di Chimica – Università di Roma “Tor Vergata” e primo autore del lavoro di ricerca i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista “Nature Communications”.

Francesco Ricci, professore associato di Chimica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”

La fionda molecolare ha le dimensioni di pochi nanometri ed è composta da un filamento di DNA sintetico che può caricare un farmaco e agire proprio come l’elastico di una fionda. Le estremità di questo DNA contengono due porzioni di ancoraggio che si possono legare in maniera specifica ad un anticorpo: una proteina a forma di Y espressa nel nostro corpo in risposta a diversi agenti patogeni come batteri e virus. «Quando le porzioni di ancoraggio della fionda molecolare riconoscono e si legano ai bracci dell’anticorpo bersaglio – continua Simona Ranallo -, il DNA subisce un allungamento e questo porta al rilascio del farmaco attraverso un meccanismo che ricorda quello di una vera e propria fionda che “ spara” il suo colpo».

«Una caratteristica importante di questa particolare fionda – spiega Ricci – è costituita dal fatto che può essere attivata solo dall’anticorpo specifico che riconosce i punti di ancoraggio del DNA “elastico”.  Cambiando i  punti di ancoraggio si può dunque programmare la fionda in modo da rilasciare un farmaco con diversi anticorpi. Poiché diverse patologie sono caratterizzate da specifici anticorpi, la nostra fionda molecolare potrebbe diventare un’arma molto precisa nelle mani dei medici».

Un altro aspetto interessante è la sua elevata versatilità. «Fino ad ora – afferma Alexis Vallée-Bélisle, professore presso il Dipartimento di Chimica presso l’Università di Montreal – abbiamo dimostrato il suo principio di funzionamento impiegando acidi nucleici come farmaci modello ma grazie alla elevata programmabilità del DNA si potrà progettare la fionda per “sparare” una vasta gamma di agenti terapeutici».

Il gruppo di ricercatori è pronto per adattare questa nuova macchina molecolare per il rilascio di farmaci clinicamente rilevanti e per dimostrare la sua efficienza clinica. «Prevediamo che simili macchine molecolari possano essere utilizzate in un prossimo futuro per rilasciare farmaci in punti specifici del corpo e migliorare l’efficienza dei farmaci, diminuendone allo stesso tempo gli effetti tossici», conclude il prof. Francesco Ricci.

Gli enigmatici buchi neri sono governati da fenomeni magnetici

 

I venti e i getti prodotti da un buco nero sono governati da fenomeni magnetici, indipendentemente dalla massa dell’oggetto compatto: questa la scoperta di un team internazionale di ricercatori, studiando un sistema binario che ospita un buco nero di massa stellare.  Vediamo di capirne di più con Francesco Tombesi, co-autore dello studio e ricercatore all’Università di Roma “Tor Vergata”, che nel 2015, sempre con una ricerca sui buchi neri,  si era conquistato la copertina di Nature.

Che cosa comporta aver scoperto  che i venti sono governati da fenomeni magnetici, indipendentemente dalla massa del buco nero centrale ?

I buchi neri sono tra gli oggetti astrofisici più enigmatici dell’Universo e si presentano con diverse masse, di massa stellare (alcune volte quella del Sole) in sistemi binari dove il buco nero sta divorando la sua stella compagna, e super-massicci (fino a miliardi di volte la massa del Sole) al centro di tutte le galassie. Pur essendo di masse cosi’ diverse e avendo avuto origine in modi diversi, osservazioni con satelliti nei raggi X mostrano che questi buchi neri non solo stanno divorando materiale, ma che in qualche modo producono dei potentissimi “venti” e “getti” di plasma. Il nostro lavoro dimostra che l’origine di questi venti è dovuta a fenomeni magnetici che avvengono sul disco di materiale che sta cadendo verso il buco nero. Inoltre, siamo riusciti a dimostrare che questo fenomeno è universale e vale per tutti i buchi neri astrofisici, indipendentemente dalla loro massa.

Perchè è così importante per l’astrofisica moderna comprendere in dettaglio la fisica di ciò che accade nei dintorni di un buco nero?

L’accrescimento e l’eiezione di materiale intorno ai buchi neri è uno degli argomenti di punta della fisica moderna in quanto si possono raggiungere regimi di gravità, temperatura e densità estremi, che non si potranno mai raggiungere in laboratorio. Questo ci consente di investigare la validita’ della relatività generale in condizioni limite ed inoltre di studiare la fisica dei plasmi altamente ionizzati. Dal punto di vista astrofisico, lo studio dell’accrescimento su buchi neri ci puo’ informare sul modo in cui essi crescono nell’Universo e sugli effetti che possono avere sul mezzo interstellare e sull’evoluzione delle strutture cosmiche. Infatti, recentemente si parla molto di “feedback” tra buchi neri e galassie, indicando il fatto che i fenomeni legati ai buchi neri supermassicci al centro delle galassie ne possono addirittura influenzare la loro evoluzione. Senza i buchi neri al loro centro, le galassie non apparirebbero come le vediamo oggi.

Il Sole, osservato speciale dal Polo Sud grazie a MOTH II e ai ricercatori di “Tor Vergata”

Francesco Berrilli, docente di Fisica Solare e Climatologia Spaziale  all’Università di Roma “Tor Vergata”,  di ritorno  dalla missione presso la Stazione Polare Amundsen-Scott,  al Polo Sud, racconta il  suo viaggio scientifico, intrapreso insieme a Stefano Scardigli, Post Doc per il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “Tor Vergata” e il progetto South Pole Solar Observatory, il telescopio dedicato all’osservazione del Sole. Il team antartico è composto da ricercatori dell’Università delle Hawaii, Georgia State University, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, JPL e European Space Agency.

Compito dei ricercatori è quello di installare e rendere operativo il telescopio solare per la ricerca astrofisica nel campo delle onde di gravità nell’atmosfera solare e della meteorologia spaziale (Space Weather). Il progetto, finanziato dal National Science Foundation con un supporto del PRIN-MIUR 2012, è coordinato dal prof. Stuart Jefferies della Georgia State University.

Ad estreme latitudini, durante le estati polari, il sole rimane al di sopra dell’orizzonte per interi mesi. Un Osservatorio al Polo Sud consente dunque di seguire la nostra stella per settimane o giorni, se il tempo meteorologico lo consente. Osservando il sole con il telescopio MOTH II si possono studiare strati diversi dell’atmosfera e processi fisici a cui non si ha accesso dallo spazio, per mancanza di strumenti simili, o dai normali osservatori a terra, perché subiscono il ciclo giorno-notte e non consentono una corretta analisi matematica del segnale osservato.

Nel nostro caso la campagna di osservazione si proponeva di perseguire tre obiettivi scientifici specifici:
1. determinare le proprietà delle onde di gravità presenti nell’atmosfera solare ed il ruolo che esse svolgono nella dinamica atmosferica ed energetica del riscaldamento coronale;
2. determinare con precisione la variazione latitudinale e longitudinale ,in funzione dell’altezza nell’atmosfera, dei grandi flussi di plasma solare ed il loro impatto sulle teorie di dinamo solare (la grande macchina magnetica che produce l’attività solare ed ha un ruolo centrale nella variabilità solare e nei fenomeni di Space Weather);
3. testare gli algoritmi di previsione degli eventi solari esplosivi, come i flare e le emissioni di massa coronale, che si stanno sviluppando presso il nostro gruppo nell’ambito di progetti europei di previsione dello stato fisico dello spazio circumterrestre (Earth’s Space Weather).

Francesco Berrilli *

*Professore di Fisica Solare e Climatologia Spaziale  all’Università di Roma “Tor Vergata”

Ansa.it Al via la costruzione di un telescopio solare in Antartide

Researchitaly – Miur Antartide: ricercatori di Tor Vergata al lavoro per installare il telescopio solare MOTH II

Media Inaf   Un telescopio solare al Polo Sud

George State University Following the Sun to the End of the Earth

 

 

 

International Students Welcome a “Tor Vergata”/How do you say ISEE in English?

IMG_3587di Pamela Pergolini

Sei uno studente straniero che ha scelto di immatricolarsi a “Tor Vergata, vuoi  fare la domanda per partecipare al bando per usufruire di una borsa di studio ma non sai come si dice ISEE in inglese?  Hai bisogno di un codice fiscale per l’assistenza sanitaria, immatricolazione oppure  vuoi aprire un conte corrente e non sai come fare?  L’Università di Roma “Tor Vergata” ha organizzato, dal 1 al 16 settembre,  il servizio di accoglienza  “Welcome Week” a supporto degli studenti stranieri che hanno scelto di studiare nell’Ateneo romano.

Gli studenti stranieri vengono assistiti per la compilazione e rilascio del “kit – permesso di soggiorno”, per rilascio a vista del codice fiscale da parte di personale tecnico dell’Agenzia delle Entrate, nelle procedure di immatricolazione,  il rilascio informazioni su assistenza sanitaria nazionale, apertura conto bancario, la ricerca alloggio e trasporto pubblico

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Nella giornata del  9 settembre abbiamo incontrato i referenti dell’Agenzia delle Entrate, presenti per il rilascio del  codice fiscale, lo staff dell’Ufficio Studenti Stranieri   e alcuni studenti che si sono presentati al desk.

GUARDA IL VIDEO  “INTERNATIONAL STUDENTS WELCOME”

SU YOUTUBE  UNIVERSITÀ ROMA “TOR VERGATA”

«Sono 340 gli studenti extracomunitari che hanno presentato la domanda di preiscrizione, presso le rispettive ambasciate, per venire a studiare all’Università di Roma “Tor Vergata” nel prossimo anno accademico (2016-2017) – spiega Angelina De Benedictis, responsabile Ufficio Sudenti Stranieri dell’Ateneo e coordinatrice dei servizi “Welcome Week” –  E ci auguriamo che tutti loro possano essere futuri studenti nel nostro Ateneo ».

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International Students Welcome 1- 16 settembre – Aula “Freezer” – Edificio Didattica “A” Macroarea di Economia 

La simulazione marziana alle Hawaii: missione compiuta

 

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Cyprien Verseux, dottorandoUniversità di Roma “Tor Vergata”

a cura della Redazione

Un anno isolati alle Hawaii per simulare una spedizione su Marte, con la missione della Nasa ‘Hi-Seas’.  É terminata il 28 agosto la missione dei sei ricercatori  che hanno abbandonato  la loro ‘casa spaziale’ sulle pendici del vulcano Mauna Loa, per tornare nei rispettivi Paesi d’origine. Tra questi il giovane astrobiologo francese Cyprien Verseux, dottorando all’Università di Roma “Tor Vergata”,  pronto a tornare a lavorare  presso l’Ateneo romano, supervisionato da Daniela Billi (Dipartimento di Biologia) e Lynn J. Rothschild (NASA Ames).

Verseux ha conseguito il Master in Biologia Sintetica presso l’Institute of Systems and Synthetic Biology e in Ingegneria Biotecnologica presso l’Institut Sup’Biotech de Paris e ha partecipatoto al programma iGEM presso la NASA.

Poche ore dopo  aver lasciato il  “terrestre”  Pianeta Rosso, Verseux ha  affermato  che  “nel prossimo futuro una missione spaziale su Marte è realistica e che le difficoltà tecnologiche e umane sono superabili”.  In questo anno, Verseux è stato impegnato a studiare l’impiego dei batteri per convertire le poche risorse marziane in sostanze nutritive per le piante necessarie alla sopravvivenza dell’uomo. ‘Questa ricerca fa parte di un progetto di ricerca denominato CyBLiSS (Cyanobacterium-Based Life-Support System), un progetto che sviluppiamo nei laboratori sotto la supervisione della professoressa Daniela Billi dell’Università di Roma “Tor Vergata” e la dottoressa Lynn Rothschild della NASA.

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Quando il giovane astrobiologo rientrerà nel laboratorio di Astrobiologia e Biologia Molecolare di Cianobatteri Estremofili all’Università di Roma “Tor Vergata” contribuirà all’analisi di cianobatteri estremofili esposti per 16 mesi all’ambiente spaziale e marziano simulato al di fuori della Stazione Spaziale Internazionale nell’ambito degli esperimenti BOSS_Cyano e BIOMEX_cyano finanziati dall’Agenzia Spaziale italiana, due esperimenti che fanno parte della missione spaziale Expose-R2 coordinata dal DLR di Colonia (Petra Rettberg) e dal DRL di Berlino (Jean-Pierre de Vera).

«Tali analisi  – spiega la prof.ssa Daniela Billi – hanno lo scopo di verificare la capacità di cianobatteri estremofili di riparare i danni accumulati durante l’esposizione alle condizioni di vuoto spaziale, escursioni termiche, elevate dosi di radiazioni ultraviolette e ionizzanti presenti in bassa orbita terrestre, al difuori della Stazione Spaziale Internazionale. I risultati contribuiranno alla nostra conoscenza dei limiti della vita ma anche alla sua ricerca altrove valutando gli effetti dell’ambiente marziano simulato in bassa orbita terrestre sulle macromolecole biologiche».

Inoltre, lo studio degli effetti dell’ambiente spaziale e marziano simulato sulla tenacia di questi estremofili contribuisce allo sviluppo di tecnologie a supporto dell’esplorazione umana dello spazio basate sull’impiego di estremofili capaci di fotosintesi ossigenica ma anche sul lor impiego per la produzione di sostanze d’interesse con approcci di biologia sintetica. A questo scopo Cyprien Verseux continuerà alcune sperimentazioni intraprese durante la simulazione marziana alle Hawaii nel contesto del progetto CyBLiSS (Cyanobacterium-Based Life-Support System), basato sull’impiego di cianobatteri estremofili per convertire le poche risorse marziane in sostanze nutritive per piante in sistemi biorigenerativi a supporto dell’esplorazione umana dello spazio.

 

Materiali nanoporosi: i piccolissimi “vuoti” ne aumentano la resistenza

di Pamela Pergolini 

nanoporosiÉ stato pubblicato sulla rivista Mechanics of Materials di luglio 2016 lo studio “A computational insight into void-size effects on strength properties of nanoporous materials”. Lo studio riguarda il comportamento dei materiali nanoporosi ed è stato condotto dal gruppo di ricerca del settore di “Scienza delle Costruzioni” dell’Università di Roma “Tor Vergata” in collaborazione con ricercatori francesi dell’Università Pierre e Marie Curie (UPMC) e dell’Ecole Nationale des Ponts et Chaussées (ENPC).

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Stella Brach, dottoranda e laurea in Ingegneria Meccanica a “Tor Vergata”

Autori della ricerca sono Stella Brach, dottoranda e una laurea in Ingegneria Meccanica a “Tor Vergata”,  il prof. Djimédo Kondo del Laboratorio Jean le Rond d’Alembert dell’UPMC,  il prof. Luc Dormieux del Laboratorio Navier

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Luc Dormieux del Laboratorio Navier dell’ENPC di Parigi

dell’ENPC di Parigi, e il prof. Giuseppe Vairo (Scienza delle Costruzioni) del Dipartimento di Ingegneria Civile e Informatica (DICII) di “Tor Vergata”.  Il prof. Giuseppe Vairo è il responsabile scientifico, per la parte italiana, del progetto.

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Djimédo Kondo del Laboratorio Jean le Rond d’Alembert dell’UPMC

Lo studio è stato sviluppato nel contesto di una oramai ventennale cooperazione (per ricerca e formazione) tra l’Ateneo di “Tor Vergata” e l’ENPC, e di un programma di collaborazione avviato nel 2013 tra “Tor Vergata” e l’UPMC. Nell’ambito di quest’ultimo, la dott.sa Brach sta svolgendo attività di ricerca in cotutela per il conseguimento del titolo italiano di Dottore di Ricerca in “Ingegneria Civile” e il titolo francese di Dottore di Ricerca in “Science de l’Ingénieur”.

Prof. Giuseppe Vairo perché i materiali nanoporosi potrebbero essere importanti nella progettazione non tradizionale?

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Giuseppe Vairo, Scienza delle Costruzioni, Dip. Ingegneria Civile e Informatica (DICII) a “Tor Vergata”

Il lavoro appena pubblicato mette in luce, attraverso tecniche di simulazione numerica a scala molecolare, l’influenza positiva indotta da nanovuoti sulle proprietà di resistenza del materiale. Questo effetto, se opportunamente controllato, può essere utilizzato per progettare materiali con specifiche proprietà a seconda dell’applicazione strutturale in cui si vuole impiegarli. Insomma, i materiali nanoporosi possono riguardarsi come materiali potenzialmente progettabili per progettare. I risultati che abbiamo ottenuto confermano il ruolo attivo dei nanovuoti e la possibilità di controllare questi “effetti di taglia”. A partire da queste indicazioni quantitative, e nel contesto della cooperazione italo-francese, stiamo inoltre mettendo a punto nuovi modelli teorici di previsione del comportamento limite di tali materiali.

 

In quali campi dell’Ingegneria possono essere applicati?

I nanoporosi sono materiali caratterizzati da una strutttura porosa con pori la cui dimensione caratteristica è dell’ordine del nanometro (pari a un miliardesimo di metro).  Essi esibiscono proprietà fisiche affascinanti, in termini di risposta meccanica, chimica ed elettromagnetica. In particolare, in ragione della presenza di nanocavità, questa classe di materiali con nanostruttura apre potenzialmente ad applicazioni avanzate e innovative in diversi campi dell’Ingegneria (e.g., civile, ambientale, geofisica, petrolchimica, biomeccanica) ad alto contenuto tecnologico e con elevate potenzialità in termini di impatto socio-economico. Prime applicazioni di questa tipologia di materiali cominciano a svilupparsi per concepire device multifunzionali in applicazioni aerospoaziali, dell’industria automobilistica, per l’accumulo energetico, per la sensoristica. Degne di nota sono le applicazioni nell’ambito dell’Ingegneria Medica. In particolare, i nanoporosi ben si prestano alla realizzazione di dispositivi intelligenti di ultima generazione in grado di svolgere funzioni di biosensoristica, di rilascio locale di farmaco, di catalisi, e di filtrazione.

Ma qual è il segreto? Perché vuoti a scala nano aumentano la resistenza del materiale?

Il segreto risiede nella natura “nano” delle cavità. Sin dai tempi dei maestri costruttori del Medioevo, gli spazi vuoti all’interno di una struttura continua erano percepiti come il punto debole della struttura. Chi s’imbatte in una cattedrale gotica non può non riconoscere strette aperture in muri maestosi, e nessuno – fino a tempi ingegneristicamente più illuminati – ha avuto l’ardire di pensare al vuoto come elemento attivo e controllabile. Di fatto, materiali con elevati rapporti vuoto/pieno (schiume metalliche, materiali porosi) hanno consentito di vincere sfide ardue come il volo, visto il loro ridotto peso specifico a fronte di soddisfacenti proprietà di resistenza, rappresentando primi esempi di materiali progettati per assolvere a specifici requisiti. Ma si può fare di più.

Con lo stesso ardire logico, se immaginassimo una pausa musicale più lunga di una battuta all’interno di un’opera classica, l’effetto  ci risulterebbe strano e forse da attribuire a un errore del musicista. Di contro, se ascoltassimo un pezzo Jazz, ogni pausa sarebbe perfettamente giustificata dall’alternanza di “pieni” e “vuoti” di questo genere, a chiara evidenza che note piene e pause possono convivere in una perfetta armonia.

Nel caso di nanocavità, le interazioni elettrochimiche a scala atomica, fra atomi affacciati sul bordo di ciascuna di queste cavità, possono conferire un incremento di resistenza e di proprietà meccaniche.  Gli atomi che costituiscono il materiale, interagiscono tra loro con forze elettrochimiche che potremmo banalizzare pensando gli atomi come una schiera di persone che si tengono per mano. Se in una regione del materiale allontanassimo gli atomi tra loro, creando una cavità (poro) di dimensioni grandi (tipicamente quello che accade in schiume metalliche o materiali porosi classici, in cui le dimensioni del poro sono dell’ordine del millimetro), gli atomi affacciati sul poro non avrebbero più la possibilità di stringere le mani degli atomi che hanno di fronte. Se però il poro è sufficientemente piccolo, gli atomi affacciati sul poro continueranno a tenersi (idealmente) tra loro per mano, ma con il risultato che essi dovranno “sforzarsi” per allungare le braccia. Questo, in modo molto banale, porta a una perturbazione delle interazioni a livello locale che, se opportunamente controllata, può indurre un miglioramento delle proprietà meccaniche, oltre che degli effetti di compatibilità elettro-chimica con possibili molecole/atomi interposti fra le “braccia tese” (favorendo quindi processi di filtrazione/catalisi, associati ad un’azione di setaccio molecolare).

Quali metodologie progettuali vengono utilizzate per l’impiego dei materiali nanoporosi?

La progettazione di strutture e dispositivi basati sull’uso di materiali nanoporosi non può avvalersi delle metodologie progettuali tradizionali, dovendo portare in conto effetti non trascurabili, propri di una scala inferiore a quella osservabile. D’altro canto progettare una struttura macroscopica (l’ala di un velivolo, la pala di una turbina, o un qualunque componente meccanico) descrivendo in modo diretto gli atomi e le molecole che la compongono sarebbe ingegneristicamente impraticabile e inefficace. È allora necessario un approccio multiscala che consenta di includere in approcci progettuali sintetici, e in maniera indiretta, l’influenza dei fenomeni dominanti alla nanoscala sul comportamento del materiale alle scale d’interesse ingegneristico. Questo è il nostro piano di ricerca, che prevede lo sviluppo di approcci teorici e numerici, con l’intento di fornire metodi di progettazione del materiale e approcci progettuali specifici per strutture e dispositivi realizzati con questi materiali avanzati.

Movimenti incontrollati? Colpa dei neuroni che non tornano alla posizione zero

 di Pamela Pergolini

Ricercatori della Fondazione Santa Lucia Irccs e dell’Università di Perugia, coordinati dal professsore Paolo Calabresi insieme al gruppo di ricerca del professor Antonio Pisani, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, e ai colleghi inglesi e spagnoli dello University College di Londra e dell’Istituto Carlos III di Madrid, sono riusciti a dimostrare che i movimenti incontrollati di cui soffrono pazienti affetti da patologie così diverse, hanno tutti in realtà un problema in comune: l’incapacità dei neuroni di tornare a riposo dopo essere stati stimolatidonazione-sangue per apprendere un movimento.

I neuroni coinvolti sono per la precisione quelli dello striato, una regione interna del nostro cervello deputata a organizzare il movimento. Come gli stimoli elettrici che li sollecitano producono effetti di due tipi: uno chiamato LTP (long term potentiation) e l’altro LTD (long term depression). Immaginiamo per un attimo di osservare questi impulsi elettrici con un tester: quando il neurone è a riposo è come se la lancetta  fosse sullo zero. Se il neurone riceve una sollecitazione LTP la lancetta si sposta verso il positivo. Se invece riceve un impulso LTD, di segno opposto, il neurone si muove verso il negativo.

Attraverso questi impulsi di opposte direzioni noi impariamo da bambini, per progressivi aggiustamenti, a muovere mani e braccia, a camminare, ad andare in bicicletta. Poi, per tutta la vita, grazie ai medesimi impulsi, i neuroni del nostro cervello guidano i movimenti, li adattano all’ambiente, ne correggono quando necessario la traiettoria e in generale li tengono sotto controllo come movimenti volontari. “Questo meccanismo – spiega la dottoressa Veronica Ghiglieri, ricercatrice presso il Laboratorio di Neurofisiologia della Fondazione Santa Lucia – funziona tuttavia solo  se i nostri neuroni conservano la capacità di tornare alla posizione “zero” dopo ogni LTP o di poter esprimere un comportamento del tipo LTD”.

Ed è proprio questa incapacità di “downscaling”  da parte dei neuroni  –  ossia di ritornare a un livello di controllo e assumere la posizione “zero” dopo ogni stimolazione – che lo studio internazionale ha dimostrato essere comune ai pazienti affetti da malattia di Parkinson, distonia e malattia di Huntington.

Tale alterazione si riflette in un eccesso di movimenti involontari e incontrollati, tipici della distonia, un comune disturbo del movimento su cui il gruppo di ricerca dell’Università di Roma “Tor Vergata” lavora da circa un decennio.

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Antonio Pisani, neurologo, Laboratori Neuroscienze all’ Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

«L’osservazione interessante, che ci ha portato a condividere tali esperienze con diversi laboratori di ricerca e soprattutto con il laboratorio del prof. Calabresi all’Università di Perugia, sta appunto nel meccanismo neuronale sinaptico che sembra accomunare disturbi ipercinetici del movimento apparentemente diversi tra loro sia come origine che come manifestazioni cliniche, come ad esempio le discinesie (alterazioni del movimento) nella malattia di Parkinson e la Corea di Huntington» –  dichiara il prof. Antonio Pisani, Neurologo, Dipartimento di Medicina dei Sistemi all’Università Roma “Tor Vergata” . L’aspetto più caratteristico dello studio è proprio il fatto che una causa comune dell’ipercinesia sia stata riconosciuta in pazienti con patologie di origine tanto diversa, come appunto una malattia neurodegenerativa con cause multifattoriali, quale è la malattia di Parkinson, accanto a patologie di origine genetica come distonia e malattia di Huntington.

«In effetti, le nostre ricerche sono partite anni fa proprio dalla malattia di Parkinson studiando gli effetti collaterali della terapia più utilizzata per questo disturbo: la levodopa – spiega Paolo Calabresi, ordinario di Neurologia e Direttore della Sezione di Neurologia Clinica presso l’Università degli Studi di Perugia –. Il tratto comune a queste ipercinesie è che il meccanismo interessa i recettori dopaminergici. Questo studio tuttavia dimostra che all’origine dei movimenti incontrollati c’è una disfunzione che si presenta identica anche in pazienti con patologie che non sono causate dalla mancanza di dopamina».

L’obiettivo futuro della ricerca sarà quello di trovare modalità efficaci per restituire ai neuroni la capacità di “downscaling. «Senza questa capacità – osserva Barbara Picconi, ricercatrice del Laboratorio di Neurofisiologia della Fondazione Santa Lucia – è come se i neuroni, chiamati a compiere un nuovo movimento, portassero con sé gli stimoli ricevuti per movimenti precedenti, creando una confusione nel messaggio di controllo. Immaginiamoci in queste condizioni un rumore di sottofondo che si traduce in movimenti incontrollati e impedisce quelli corretti».

Come intervenire allora per trovare una cura?  «La nostra conoscenza del cervello fisiologico è oggi ancora incompleta ma è  possibile cercare soluzioni terapeutiche sviluppando farmaci oppure adeguati metodi di neurostimolazione profonda o stimolazione magnetica transcranica che restituiscano una corretta plasticità ai neuroni. Ogni nuova conoscenza di base è già per sé importante», conclude Barbara Picconi.

Lo studio Hyperkinetic disorders and loss of synaptic downscaling è pubblicato da Nature Neuroscience (Vol. 19, 7, online 28 June 2016).

HIV e altre malattie infettive: l’ERC finanzia lo sviluppo di nanomacchine per diagnosi rapida

di Pamela Pergolini

pocricciL’ European Research Council finanzia il progetto del prof. Francesco Ricci di Roma “Tor Vergata” per lo sviluppo commerciale della ricerca sulle nanomacchine per la diagnosi rapida e a basso costo dell’HIV e altre malattie infettive.  Il nuovo sistema di misura denominato Ab-switch per il rilevamento di anticorpi diagnostici per HIV e altre malattie infettive è basato sull’utilizzo di nanomacchine costruite con DNA sintetico in grado di riconoscere e legare in maniera specifica un anticorpo target e di dare un segnale ottico in seguito all’avvenuto legame.

Francesco Ricci, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università di Roma “Tor Vergata”

Francesco Ricci, Università Roma "Tor Vergata"
Francesco Ricci, Università Roma “Tor Vergata”

è fra i tre italiani ad aver vinto il Proof of Concept  Grant – bando 2016. Ricci ha ricevuto dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) un finanziamento di 150.000 euro, nell’ambito del programma ERC Proof-of-Concept, per il progetto “Evaluation of commercial potential of a low-cost kit based on DNA-nanoswitches for the single-step measurement of diagnostic antibodies”.

 

Il Proof of Concept  (PoC) è riservato ai ricercatori già vincitori di un finanziamento del Consiglio Europeo della Ricerca ed è dedicato allo sviluppo commerciale delle  ricerche scientifiche più innovative portate avanti durante un progetto ERC.

«Il nostro approccio presenta diversi vantaggi rispetto ai metodi per la misura di anticorpi attualmente in commercio – commenta Francesco Ricci -. Il sensore sviluppato non ha infatti bisogno di alcun reagente aggiuntivo e questo rende la misura dell’anticorpo target particolarmente semplice. Inoltre, si ottiene una risposta in meno di 5 minuti e il nanoswitch funziona particolarmente bene anche in campioni complessi quali il siero».

Francesco Ricci nel 2013 aveva già ottenuto dall’ERC il finanziamento Starting Grant (pari a 1.45 milioni di euro) con il progetto “Nature Nanodevices”, nanomacchine per la diagnosi del tumore e l’individuazione di una terapia mirata.

«Questo nuovo finanziamento ci permetterà di migliorare ulteriormente il nostro sistema, ad esempio facendo in modo che il segnale generato dall’anticorpo possa essere letto da uno smartphone e utilizzato da tutti anche a casa – continua il prof. Ricci -. Stiamo lavorando a quest’idea e vorremmo iniziare presto a coinvolgere aziende specializzate in kit diagnostici».

Maggiori info sul sito web del laboratorio

Materiali nello Spazio, ricercatori italiani e internazionali a confronto

Il workshop internazionale “Materials in the space environment”, presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha visto la partecipazione di ricercatori della NASA, dell’ESA, di centri di ricerca italiani, delle Università e di industrie aerospaziali operanti sul territorio nazionale.

Un confronto sul tema dei materiali avanzati per l’aerospazio, organizzato dal Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con ASI e il KetLab, e che costituisce la prima tappa della “Primavera dell’Innovazione”, lanciata dal Consorzio Hypatia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Agenzia Spaziale Italiana e Lazio Innova SpA.

Due giornate, il 17 e il 24 maggio, dedicate alla ricerca e trasferimento tecnologico nel settore aerospaziale, soprattutto nel campo degli advanced materials and manufacturing.

 

Da sinistra: Fabrizio Quadrini, Università di Roma “Tor Vergata”, Jules Kenol, ISS Payloads Office, NASA Johnson Space Center, HoustonTexas, Loredana Santo, Università di Roma “Tor Vergata”, Kim De Groh e Henry De Groh, NASA Glenn Research Center, Cleveland Ohio.
Da sinistra: Fabrizio Quadrini, Università di Roma “Tor Vergata”, Jules Kenol, ISS Payloads Office, NASA Johnson Space Center, HoustonTexas, Loredana Santo, Università di Roma “Tor Vergata”, Kim De Groh e Henry De Groh, NASA Glenn Research Center, Cleveland Ohio.

«Lo Spazio non è solo un ambiente duro per gli esseri umani e la vita ma anche per i materiali, da qui gli studi e le proposte per l’innovazione nei materiali da utilizzare in ambiente spaziale», spiega Fabrizio Quadrini, docente di Tecnologie Speciali a “Tor Vergata”, che nell’ambito del workshop sulla scienza dei materiali terrà l’intervento dal titolo “On-orbit experiments of Tor Vergata and new perspectives”.

Il workshop ha trovato una collocazione ottimale all’interno delle giornate della Primavera dell’Innovazione, soprattutto alla luce della stretta collaborazione che si sta intessendo tra i rispettivi gruppi di ricerca.

«Obiettivo dell’evento –  ha sottolineato Loredana Santo, chair del workshop e docente di Tecnologia e Sistemi di Lavorazione a Roma “Tor Vergata” – è stato quello di portare tante esperienze diverse a confronto per creare un network tematico che in futuro possa incidere sulle ricerche del settore. La sola passione e dedizione non sono sufficienti per il raggiungimento di risultati importanti, serve lavorare in squadra condividendo obiettivi e unendo le competenze. In Italia  – ha ricordato la Santo – ci sono realtà di ricerca di eccellenza che vengono dal mondo della fisica, chimica, matematica e ingegneria e tutte insieme possono fare la differenza nel settore dei materiali per applicazioni spaziali, senza tralasciare l’importanza del collegamento con le agenzie spaziali, egregiamente rappresentate nell’ambito di questo workshop».

Fabrizio Quadrini nel suo intervento “On-orbit experiments of Tor Vergata and new perspectives” ha illustrato le attività di sperimentazione e ricerca che il gruppo di Tecnologie e Sistemi di Lavorazione sta sviluppando a “Tor Vergata” sulla tematica dei materiali per applicazioni spaziali, in particolare sulla memoria di forma.

Sono stati presentati i risultati dei due esperimenti condotti in ambiente spaziale: il primo (I-FOAM) nell’ambito della missione Shuttle STS-134 (Maggio 2011), e il secondo (Ribes_FOAM2) durante la missione BION M1, in assenza di astronauti e su modulo Soyouz-2 (Aprile 2013). Entrambi gli esperimenti hanno permesso di studiare il recupero della forma in ambiente spaziale di strutture polimeriche e composite inizialmente memorizzate sulla terra.

Il programma del workshop

 

ISAe IEC, novità negli standard per le imprese produttive

Nei giorni 15-18 marzo si è svolto a “Tor Vergata”, Ingegneria, l’International Workshop: ISA 95 & IEC 62264  per la definizione di ISA-95 ed IEC-62264, importanti standard relativi ai processi industriali mondiali di produzione.

Il gruppo di lavoro, che ha scelto Ingegneria Tor Vergata per il suo meeting annuale, comprende esperti da tutto il mondo, appartenenti a diverse aziende multinazionali, associazioni industriali e organizzazioni di normazione, tra cui l’international Organization for Standardization (ISO), la International Society for Automation (ISA), la International Electrotechnical Commission (IEC), l’American National Standard Institute (ANSI), la Manufacturing Enterprise Solutions Association (MESA). In particolare, lo standard ISA-95 comprende modelli di riferimento per lo scambio delle informazioni aziendali necessarie al controllo di attività connesse con i processi produttivi industriali ed è collegato a due importanti novità in via di ultimazione in questo periodo: il modello di maturità per le attività manifatturiere e il nuovo standard ISO 22400 per la misura delle prestazioni delle attività di Operations Management.

Tali novità costituiscono potenzialmente un fondamentale aiuto per le imprese produttive, in tutti i settori e a livello internazionale, per effettuare una autovalutazione del proprio livello di efficienza e guidare le attività di miglioramento; inoltre, è ragionevole immaginare che a breve ogni sistema informativo a supporto della produzione dovrà rispettare tali standard per la raccolta, comunicazione e analisi delle informazioni.

Secondo il prof. Massimiliano Schiraldi, professore di Impianti industriali all’Università Roma “Tor Vergata”“l’influenza che la formalizzazione di tali norme potrebbe avere sui processi aziendali così come sullo sviluppo software è enorme”.

Venerdì 18 marzo Dennis Brandl, Membro del Board di MESA, ha tenuto un intervento pubblico per presentare una panoramica dello standard in via di definizione e le novità ad esso collegate, il grande impatto che queste innovazioni genereranno in ambito aziendale e quali opportunità di ricerca e sviluppo potranno aprirsi sui temi ad esso collegati.

Ulteriori info http://ing.uniroma2.it/2016/01/27/march18th-public-session-on-isa-95-iec-62264/